Si, lo so. Sono leggermente in ritardo nei tempi.
Ora sto facendo colazione e sto scrivendo il post...di ieri. Per lo meno tengo fede alle promesse dai.
Questo post è velocissimo. Più che di NY, vi parlo della sensazione che ho rispetto ad una situazione che sta finendo, ed un'altro ciclo che tra poco nascerà.
Vi voglio parlare, o forse accennare dato la brevità del post, di questa sensazione nell'ambito lavorativo.
Quando sono partito per venire qui, la situazione in Italia per noi giovani laureati era, come dire...critica. Ora, dopo che leggi il corriere online giornalmente e dopo che amici e parenti ti informano sul "cosa accade", non resta che metterti le mani nei capelli. Direi che la situazione si è fatta...drammatica.
Io mi trovo qui. In questa fantastica terra di mezzo fornita, in via del tutto gratuita e disponibile da subito, da quella che oramai è divenuta la condizione standard del neolaureato: il precariato.
Ora, è mattina, io sono appena sveglio, voi starete già lavorando da un pezzo e ne avrete anche già le palle piene probabilmente. Quindi tronco qui.
Prima vi volevo dire che è una cosa che mi fa molto riflettere e mi mette un sacco di ansia addosso. Non c'è skyline che tenga, non c'è tramonto che riesca a distogliere i pensieri da li...
Per cui, non mi resta che continuare con le mie 5 versioni di curriculum vitae nella speranza che non mi si chieda di lavorare e vivere di aria, anzi, sarò positivo, NELLA SPERANZA DI TROVARE UN LAVORO CHE MI PIACE. (chissà...magari qualcuno che mi legge.............. :) )
Ad ogni modo, in questi giorni penso sempre di più a questa situazione. Un po' perchè il mio tempo qui sta finendo, un po' perchè ho letto sulla bacheca della mia amica Elena queste righe un po' polemiche ma manifesto di quello che penso pensiamo noi tutti:
Eravamo ragazzi e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”. Studiammo. Dopo aver studiato ci dissero: “Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!”. Lo imparammo. Dopo averlo imparato ci dissero: “Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?”. Ci convinsero e lasciammo perdere. Quando lasciammo perdere,
...rimanemmo senza un centesimo. Ricominciammo a sperare, disperati. Prima eravamo troppo giovani e senza esperienza. Dopo pochissimo tempo eravamo già troppo grandi, con troppa esperienza e troppi titoli. Finalmente trovammo un lavoro, a contratto, ferie non pagate, zero malattie, zero tredicesime, zero Tfr. zero sindacati, zero diritti. Lottammo per difendere quel non lavoro. Non facemmo figli – per senso di responsabilità – e crescemmo. Così ci dissero, dall’alto dei loro lavori trovati facilmente negli anni ’60, con uno straccio di diploma o la licen
za media, quando si vinceva facile davvero: “Siete dei bamboccioni, non volete crescere e mettere su famiglia”. E intanto pagavamo le loro pensioni, mentre dicevamo per sempre addio alle nostre. Ci riproducemmo e ci dissero: “Ma come, senza una sicurezza nè un lavoro con un contratto sicuro fate i figli? Siete degli irresponsabili”. A quel punto non potevamo mica ucciderli. Così emigrammo. Andammo altrove, alla ricerca di un angolo sicuro nel mondo, lo trovammo, ci sentimmo bene. Ci sentimmo finalmente a casa. Ma un giorno, quando meno ce lo aspettavamo, il “Sistema Italia” fallì e tutti si ritrovarono col culo per terra. Allora ci dissero: “Ma perchè non avete fatto nulla per impedirlo?”. A quel punto non potemmo che rispondere: “Andatevene affanculo!”. (Torto, Breve storia di una generazione)
Per cui, facciamoci tutti un grosso "in bocca al lupo".
-7
Ora sto facendo colazione e sto scrivendo il post...di ieri. Per lo meno tengo fede alle promesse dai.
Questo post è velocissimo. Più che di NY, vi parlo della sensazione che ho rispetto ad una situazione che sta finendo, ed un'altro ciclo che tra poco nascerà.
Vi voglio parlare, o forse accennare dato la brevità del post, di questa sensazione nell'ambito lavorativo.
Quando sono partito per venire qui, la situazione in Italia per noi giovani laureati era, come dire...critica. Ora, dopo che leggi il corriere online giornalmente e dopo che amici e parenti ti informano sul "cosa accade", non resta che metterti le mani nei capelli. Direi che la situazione si è fatta...drammatica.
Io mi trovo qui. In questa fantastica terra di mezzo fornita, in via del tutto gratuita e disponibile da subito, da quella che oramai è divenuta la condizione standard del neolaureato: il precariato.
Ora, è mattina, io sono appena sveglio, voi starete già lavorando da un pezzo e ne avrete anche già le palle piene probabilmente. Quindi tronco qui.
Prima vi volevo dire che è una cosa che mi fa molto riflettere e mi mette un sacco di ansia addosso. Non c'è skyline che tenga, non c'è tramonto che riesca a distogliere i pensieri da li...
Per cui, non mi resta che continuare con le mie 5 versioni di curriculum vitae nella speranza che non mi si chieda di lavorare e vivere di aria, anzi, sarò positivo, NELLA SPERANZA DI TROVARE UN LAVORO CHE MI PIACE. (chissà...magari qualcuno che mi legge.............. :) )
Ad ogni modo, in questi giorni penso sempre di più a questa situazione. Un po' perchè il mio tempo qui sta finendo, un po' perchè ho letto sulla bacheca della mia amica Elena queste righe un po' polemiche ma manifesto di quello che penso pensiamo noi tutti:
Eravamo ragazzi e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”. Studiammo. Dopo aver studiato ci dissero: “Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!”. Lo imparammo. Dopo averlo imparato ci dissero: “Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?”. Ci convinsero e lasciammo perdere. Quando lasciammo perdere,
...rimanemmo senza un centesimo. Ricominciammo a sperare, disperati. Prima eravamo troppo giovani e senza esperienza. Dopo pochissimo tempo eravamo già troppo grandi, con troppa esperienza e troppi titoli. Finalmente trovammo un lavoro, a contratto, ferie non pagate, zero malattie, zero tredicesime, zero Tfr. zero sindacati, zero diritti. Lottammo per difendere quel non lavoro. Non facemmo figli – per senso di responsabilità – e crescemmo. Così ci dissero, dall’alto dei loro lavori trovati facilmente negli anni ’60, con uno straccio di diploma o la licen
za media, quando si vinceva facile davvero: “Siete dei bamboccioni, non volete crescere e mettere su famiglia”. E intanto pagavamo le loro pensioni, mentre dicevamo per sempre addio alle nostre. Ci riproducemmo e ci dissero: “Ma come, senza una sicurezza nè un lavoro con un contratto sicuro fate i figli? Siete degli irresponsabili”. A quel punto non potevamo mica ucciderli. Così emigrammo. Andammo altrove, alla ricerca di un angolo sicuro nel mondo, lo trovammo, ci sentimmo bene. Ci sentimmo finalmente a casa. Ma un giorno, quando meno ce lo aspettavamo, il “Sistema Italia” fallì e tutti si ritrovarono col culo per terra. Allora ci dissero: “Ma perchè non avete fatto nulla per impedirlo?”. A quel punto non potemmo che rispondere: “Andatevene affanculo!”. (Torto, Breve storia di una generazione)
Per cui, facciamoci tutti un grosso "in bocca al lupo".
-7
Nessun commento:
Posta un commento